Artiste italiane al tempo delle leggi razziali

Adriana Pincherle, Autoritratto

I provvedimenti legislativi e amministrativi emanati dal fascismo nel 1938 in difesa della razza costituirono indubbiamente una cesura tra due epoche e una profonda frattura all’interno della società italiana. Dal punto di vista delle artiste di allora – ebree e non ebree – emerge un quadro assai variegato di situazioni dove anche il carico delle conseguenze fu variamente vissuto. Una poliedricità che indubbiamente sottolinea i limiti, se non l’inadeguatezza, di ogni tipo di approssimazione, compresa quella insita nella qualifica di artiste ebree alla quale ci sembra tuttavia possibile far ricorso in un’accezione non tanto religiosa quanto di appartenenza alla medesima koinè culturale.

Nell’Italia di primo Novecento, le donne ebree godevano infatti di una certa autonomia e potevano contare su un’apertura di orizzonti che guardava all’Europa attraverso una diffusa conoscenza delle lingue e l’abitudine di viaggiare. Donne che volentieri mettevano le proprie capacità al servizio della collettività sostenendo azioni filantropiche e culturali, senza mai perdere di vista la serietà di un impegno che iniziava fin dalla loro formazione. La stessa attitudine all’arte veniva incentivata grazie a un lavoro di studio dei modelli del passato e di costante aggiornamento sulle proposte del presente, ai quali si univa una scelta sempre ponderata del maestro di riferimento come fu per esempio Giacomo Balla il quale, all’interno di un folto gruppo di allieve, contò Pierina Levi e le sorelle Annie e Liliah Nathan, figlie del sindaco di Roma Ernesto Nathan. In questo contesto primo novecentesco operarono anche le sorelle Corinna e Olga Modigliani, allieve di Pietro Vanni e collaboratrici di Duilio Cambellotti, Amelia Almagià Ambron, formatasi alla scuola di Antonio Mancini e animatrice di un vivace circolo culturale, nonché Amalia Goldmann Besso che alternò la pittura a un intenso impegno sociale (diresse tra l’altro la Sezione Arte del Lyceum di Roma dal 1909 al 1927). Più giovani di una generazione Paola Consolo, Paola Levi Montalcini e Adriana Pincherle – tutte classe 1909 – seppero invece distinguersi per una costante e personale assimilazione delle suggestioni del loro tempo, da Novecento a Casorati, dall’espressionismo fino all’astrattismo, con esiti assolutamente originali e di lungo corso, tranne nel caso della Consolo scomparsa prematuramente nel 1933.


 




Discorso a sé merita Antonietta Raphaël, figura eccentrica e misteriosa fin dai dati anagrafici (nacque davvero a Kowno in Lituania? E in quale data visto che lei stessa nel tempo dichiarò un’età sempre minore?). Cresciuta a Londra in un contesto estremamente stimolante nel quale si dedicò alla musica e al canto, già allieva di Jacop Epstein, approdò a Roma nel 1924 dove sposò Mario Mafai diventando insieme al marito e a Scipione la protagonista di quel moto di rinnovamento dell’arte romana noto come Scuola di via Cavour. Mafai e la Raphaël costituivano una coppia decisamente insolita. Scrive la figlia Miriam: “Avevano storie, abitudini, religioni diversi. Lei aveva già attraversato mezza Europa, lui non era mai uscito da Roma. Lei parlava (male) una mezza dozzina di lingue e ci leggeva la Bibbia. Lui ci recitava in romanesco i sonetti del Belli. Nessuno dei due era osservante, nessuna di noi tre venne battezzata. La religione non aveva per loro alcuna importanza”. La promulgazione delle leggi razziali irruppe improvvisamente nella loro vita: “Le leggi razziali del 1938 – scrive l’altra figlia Giulia – nonostante non arrivassero impreviste ci lasciarono completamente spiazzati, come fu per tutti gli ebrei italiani”. L’espulsione delle figlie da scuola, l’impossibilità di continuare ad esporre fecero sì che Antonietta decidesse di lasciare Roma e di trasferirsi a Genova sotto la protezione dei collezionisti Alberto Della Ragione e Emilio Jesi. Un trasferimento che si rivelò per certi aspetti un’opportunità perché, anche grazie al carattere schivo dei genovesi, la famiglia recuperò una quotidiana routine, le figlie tornando a frequentare le migliori scuole della città e Antonietta a scolpire con rinnovato fervore. Il ritorno nella capitale nell’agosto del 1943, per quanto segnato da pesanti privazioni, fu contraddistinto da un impegno in prima fila nell’antifascismo che per gli ebrei d’Italia assurse in quei drammatici anni a ideale morale condiviso.

Antonietta Raphael, Autoritratto

L’inasprimento delle persecuzioni costrinse d’altro canto anche Gabriella Orefice, Wanda Coen Biagini e Annie Nathan a trovare protezione lontano dalle proprie case. La stessa Paola Levi Montalcini, tra il 1943 e il 1944, si rifugiò a Firenze con i fratelli Gino e Rita ospiti sotto falso nome di un’altra artista, Marisa Mori, che aveva condiviso con Paola la formazione presso la scuola di Casorati.



Wanda Coen Biagini,

Autoritratto

E ancora a Firenze tornò nel 1943 la pittrice Camilla Benaim che condividerà con il marito Giulio Supino l’impegno attivo nella Resistenza. Colpita ancor prima dell’emanazione delle leggi razziali dal grave lutto segnato dall’assassinio nel 1937 dei cugini Carlo e Nello Rosselli, Camilla proseguì comunque la sua attività pittorica fino al tragico epilogo dell’8 settembre. Di lei si ricorda anche una precoce partecipazione a una mostra alla Galleria Sabatello a Roma, spazio espositivo già di per sé anticonformista, che propose una programmazione aperta alle artiste, così come d’altra parte faranno ancora a Roma la Galleria La Cometa e a Genova la Galleria Genova. Proprio da quest’ultima transitarono tra il 1938 e il 1941 alcune delle firme più interessanti, selezionate per l’originalità delle loro proposte, tra le quali Adriana Pincherle, Fiamma Vigo, Genni Mucchi, Lia Pasqualino Noto, Mimì Quilici. Una programmazione che attesta dunque l’esistenza in quello scorcio di decennio di una rete di sostegno alternativa alle indicazioni del regime che invece diversamente voltava le spalle anche a coloro che avevano contribuito a determinarne il successo, come la critica d’arte Margherita Sarfatti, costretta a lasciare l’Italia alla vigilia delle leggi razziali o Ghitta Carell la quale, dopo essere stata la fotografa ufficiale di tutta la classe dirigente degli anni Trenta, a partire dal 1938 fu censurata e costretta all’oblio.


Camilla Benaim,

Ritratto di Lella Morpurgo

Chiara Toti